Il punto di vista di Lucia Annunziata sul tema attualissimo del passaggio a pagamento delle news su Internet è discretamente confuso e si potrebbe riassumere piu’ che altro in un sommesso grido di dolore: chi pagherà per le grandi firme?

(via La Stampa)

10 commenti a “Pagare le star del giornalismo”

  1. dedioste dice:

    Si definisca “grandi firme”.
    Perché spesso è come con i “grandi artisti”: l’ultimo pezzo/canzone l’hanno azzeccato 15 anni fa e da allora vivono di rendita.

  2. frap1964 dice:

    L’istant poll (per quel che vale) segnala che solo il 5% sarebbe disposto a pagare a patto di avere un valore aggiunto.
    Oltre la metà pensa che la pubblicità debba essere il veicolo unico di finanziamento. Come si pensi di poter ottenere in questo modo un’informazione libera, indipendente e di qualità è un bel mistero.
    Io ritengo che molti proveranno la strada delle news brevi e gratuite, seguite da articoli di approfondimento a pagamento (paratica già esistente in diversi siti).
    La dematerializzazione dell’informazione nel campo editoriale segue il medesimo destino già visto per video e musica.
    Una soluzione potrebbe essere la cessione in comodato di lettori e-book contro il pagamento di abbonamenti annuali-biennali e/o una politica simile a quella utilizzata dalle compagnie telefoniche per gli smartphone (rateizzi il pagamento del lettore in 24 mesi) e insieme ti compri il/i quotidiano/i.

  3. Alessandro dice:

    Personalmente ritengo l’idea dei “micropagamenti” di news in Rete una grandissima fesseria, oltre che un modello di business sbagliato e destinato a fallire.
    Nessuno pagherà mai per leggere un pezzo dell’Annunziata, è ovvio, così come del sottoscritto o di chiunque altro.
    Finora , su carta, si è pagato? Sì, ma perché il pezzo dell’Annunziata – così come di chiunque altro – era inserito in un contesto interessante-utile- gradevole, cioè un giornale in cui c’erano anche un sacco di altre cose, dalle pagine sportive al sudoku, dal tamburino dei cinema alle quotazioni di Borsa, dagli annunci classified ai programmi tivù, etc etc.

    Oggi tutto questo si va spostando sulla Rete, “a gratis”.

    Un problema? Sul breve sì, ma anche una grande opportunità sul lungo per per chi produce comunicazione. Perché grazie all’interattività, all’audio e al video on demand (tutta roba consentita dalla rete e non dalla carta) il “contesto” in cui inserire le news (e gli articoli dell’Annunziata) è potenzialmente molto, molto più ricco: infografiche, ipervideo, foto navigabili, video, photogallery, audiogallery, quiz, test, videogiochi, sondaggi, e chi più ne ha più ne metta.

    Invece di ipotizzare improbabili micropagamenti gli editori dovrebbero quindi progettare grandi e ricchi canali Web in cui le news e gli editoriali sono all’interno di nuovi contesti “utili-interessanti-gradevoli”.

    Che si sosterranno – eccome ! – con la pubblicità.

  4. massimo mantellini dice:

    @alessandro, anch’io credo che la strada dei micropagamenti sia una scemenza (lo ha scritto Shirky gia’ tempo fa ma evidentemente nessuno gli da retta), in ogni caso il sillogismo contenuto nel pezzo dell’Annunziata fra “gradi firme” e “grandi contenuti” e’ quasi commovente.

  5. Gianluigi dice:

    Piuttosto che su chi siano le grandi firme e su che fine faranno, qualcuno si pone la domanda su che fine faranno i “grandi editori”. E’ indubbio che anche nel futuro ci sarà bisogno di “grandi giornalisti”, ma ci sarà bisogno dei grandi editori?

  6. uovofritto dice:

    Resta il fatto che i servizi – quando prodotti da persone che lavorano e non da volontari – andrebbero pagati. Grandi e piccole firme che siano, evidentemente.

  7. Giacomo Brunoro dice:

    Pagare per le “grandi firme”? Prima forse sarebbe il caso di discutere chi siano queste grandi firme. Mah… l’impressione è che la Annunziata di rete ci abbia capito poco o niente (altra cosa tipica della maggior parte delle grandi firme di casa nostra :D).

  8. worm dice:

    immagino un futuro dove lettori elettronici a foglio di papiro si affittano nelle edicole (ci si può anche abbonare annualmente), pago il tempo/traffico che mi serve e mi collego a un motore di news (grandi e piccole firme) dove mi costruisco il mio quotidiano con le sezioni e gli articoli che voglio. e così tutte le mattine. (ogni volta che scelgo un pezzo dell’annunziata a lei va una microparte del mio abbonamento).

    gli editori che in questo futuro non hanno spazio diventeranno manager degli autori, e dovranno essere bravi a sfruttare in soldoni la loro immagine.

    ovviamente la proprietà intellettuale è stata abolita e la banda larga è ovunque. ogni artista/scrittore/giornalista/guru (piccolo o grande che sia) ha un mercato di 6 miliardi di potenziali fan. se ne conquista anche solo una piccola parte quanto può valere una sua comparsata in un programma tv (via streaming)?

  9. peer to peerla dice:

    ma pensare a qualcosa tipo il canone radio-tv? cioè, quando fu inventata la radio-tv gli stati (almeno in Europa) pensarono che fosse giusto far pagare una tassa di possesso per l’apparecchio e in cambio hanno offerto i contenuti, dai radio-tg allo show del sabato sera. Perché non fare lo stesso con internet: pago un canone congruo (diciamo 200-300 euro annui) e in cambio ottengo connessione+contenuti (tv,musica,notizie,libri)+spazio per siti/blog+varie ed eventuali. Si potrebbe pensare anche a bouquet tipo tv satellitare, cioè un’offerta variegata di contenuti. Ma l’essenziale è che mi facciano pagare una volta sola.

  10. Sascha dice:

    Comunque non se ne esce: il ‘popolo del web’, nato con la televisione commerciale e cresciuto con la Rete non concepisce altro modello economico che quello sostenuto dalla pubblicità.
    Questo è uno dei motivi per cui rido (o mi arrabbio) quando parte la solita geremiade sulla ‘rivoluzione’ di Internet che ‘cambia tutto’ e che perciò è osteggiata dai ‘poteri forti’.
    Come dire, la pubblicità (e chi la paga) sono la voce del popolo…
    Per il resto, come ho già fatto notare più volte, c’è chi non si farà pregare per fornire ‘notizie’ gratis: governi, partiti, chiese, aziende…