Contrappunti su Punto Informatico di domani.
Giovanni Arata nei giorni scorsi ha dedicato un articolo su questo giornale alle recenti ipotesi di innovazione nel mondo dell’istruzione inglese. Se ne è parlato molto nei giorni scorsi anche sugli altri media italiani, spesso con toni a metà fra lo stupito ed il canzonatorio. Colpa forse di Twitter, piattaforma sociale di recente fama che in Gran Bretagna, forse con qualche avventatezza, vorrebbero elevare a materia di insegnamento nelle scuole.
L’argomento è interessante per un numero ampio di ragioni. Intanto perchè non esiste al riguardo alcuna certezza. Vi interessano studi scientifici che riguardino l’influenza delle nuove tecnologie sulla didattica o sullo sviluppo psichico degli adolescenti? Nessun problema, ne troverete moltissimi, capaci di sostenere con ragione, numeri e dotte conclusioni qualsiasi sfumatura fra le molte posizioni possibili, da quella dell’irremovibile luddista a quella del tecnofanatico.
Molti studi neurofisiologici dicono cose piccole e intuitive, per esempio che il nostro cervello sta cambiando, in relazione agli stimoli che riceve. Esattamente come è sempre stato. Non ci sono giudizi di merito in molte di queste osservazioni: ci stiamo abituando a processare più informazioni di quanto non ci accadesse in passato, più velocemente, attraverso strumenti emotivamente avvolgenti che fino ad un decennio fa nemmeno immaginavamo. Paghiamo per questo un prezzo in termini di elaborazione culturale, sedimentazione dei contenuti, meditazione, calma? Probabilmente sì, lo dicono gli scienziati e ce ne accorgiamo in parte anche noi stessi, ogni giorno.
Se il governo inglese decide di includere con maggior vigore le nuove tecnologie e gli strumenti che le abitano nella didattica fa una cosa certamente ragionevole, ancorché inevitabile, per lo meno in un paese che tenga nel giusto conto la crescita culturale delle proprie giovani generazioni. Ci sono ottime possibilità che lo faccia male, che vada per tentativi, che scelga percorsi che domani si riveleranno sbagliati, ma non c’è dubbio che sarà sempre meglio di non fare nulla. Non dobbiamo illuderci che l’immobilismo sia la rassicurante calda coperta di lana che non è. E’ invece vero il contrario.
E pensare che in molti casi non si tratta di esprimere giudizi di merito ma semplicemente di osservare il già successo. Pensate per esempio alla scrittura: quanti adulti oggi nel mondo del lavoro scrivono ormai con la penna?In qualsiasi ambiente professionale, impiegatizio, amministrativo in senso lato, nella stragrande maggioranza di quelle professioni in cui si usava carta e penna oggi, semplicemente, non la si usa più. E’ una constatazione, non un giudizio di valore sulla penna in sé. Io – per dire – ho una età tale che quando frequentavo le scuole elementari ci si allenava con il pennino e l’inchiostro: il pennino, l’inchiostro e la carta assorbente, non so se vi rendete conto. La Bic a quei tempi era ancora (per poco) tecnologia prossima ventura.
E’ certamente traumatico pensare alla calligrafia come ad un residuo del passato e non sarebbe nemmeno giusto farlo : ci sono mille ragioni sacrosante per conservarne per quanto possibile le abitudini. E non sarei contento se mia figlia che frequenterà la prima elementare quest’anno, non tornasse a casa con i suoi quaderni pieni di lettere ordinate e tutte uguali a riempire le pagine. Per il resto non ci sono santi: quello che doveva succedere è già successo ed i nostri figli, domani (in quel frammento brevissimo di tempo che è il domani), scriveranno con la tastiera di un computer (o con un sistema di riconoscimento vocale o con quello che vi pare a voi). In ogni caso, già adesso, non c’è alcuna possibilità di riportarli indietro al calamaio e nemmeno alla penna a sfera.
Io già li immagino i sorrisini imbarazzati o anche la palese costernazione di molti insegnanti ai quali si racconta che oltremanica usano Twitter a scuola, o Wikipedia o qualsiasi altra diavoleria mediata da Internet. Lo so bene, perchè quella imbarazzante costernazione è un po’ anche la mia, di tutti quelli che vedono il mondo cambiare sotto le dita, così come so bene che esiste una dinamica di rifiuto nota nei confronti dei repentini cambi di scenario.
Non abbiamo ancora capito se, come diceva Bill Clinton qualche anno fa, i computer debbano incontrare le nuove generazioni già ai tempi dell’asilo, non sappiamo se Twitter sia una buona idea per uno studente liceale, ma sappiamo che gli strumenti tecnologici hanno invaso le nostre vite comunque.
Noi abbiamo due compiti principali mi pare: il primo è quello di trovare una utile ragionevole mediazione che incastri utilmente l’utilizzo della tecnologia dentro le nostre vite, il secondo, specie negli ambienti sensibili ed importanti nei quali si forma la cultura di una paese come la scuola, è quello di immaginare le nuove tecnologie come la grande opportunità che sono e muoversi di conseguenza. Muoversi.
Marzo 29th, 2009 at 17:11
l’inglobamento delle nuove tecnologie nella scuola mi sembra una cosa sensata, anche perché i giovani l’impatto con le nuove tecnologie ce l’hanno già, ma in modo spesso confuso e inconsapevole. usarle a scuola sarebbe un’occasione per un uso più responsabile, o quantomeno più lucido e cosciente: per non lasciare che le cose succedano, ma osservare il cambiamento e capirlo, anche magari attraverso i loro occhi. e questa capacità di feedback manca spesso ai ragazzi, ma manca anche molti adulti che sono forse troppo intellettuali per accorgersi di quello che sta accadendo, e lasciano il mondo agli altri… Ben venga un’educazione alle nuove tecnologie, come quella alla convivenza civile e a una corretta alimentazione.. Ma lo facessero in Italia, credimi, i prof si metterebbero le mani ai capelli…
Marzo 29th, 2009 at 18:39
Muoversi direi senza reazionismi, soprattutto rispetto all’evoluzione della lingua. Se in inglese si è passati da “thou” a “you”, non vedo perché non potremmo passare da “che” a “ke”: qual è il vantaggio culturale dell’uso di un grafema?
Marzo 29th, 2009 at 18:55
be’, a proposito del “che” e de “ke” appartengono a due registri diversi, l’uno standard e l’altro scritto-colloquiale/gergo giovanile. è una fortuna averceli tutti e due, in modo da esprimere per iscritto il tono di un discorso. vanno bene tutti e due a seconda dei contesti; anzi, sono capaci di “fare contesto”. poi, se il “ke” in futuro smetterà di avere questa carica e sarà una semplice variante alternativa del “che”, magari lo sostituirà del tutto. questo giusto per fare un esempio, senza reazionismi e con un po’ di…coscienza.
Marzo 29th, 2009 at 19:08
Oh Mafe,
io dicevo muoversi ma NON cosi’ tanto ;)
Marzo 29th, 2009 at 19:41
ma chi l’ha detto che la lingua scritta non debba evolversi verso forme più semplici?
Pure i numeri romani (molto scomodi) sono stati sostituiti dai numeri arabi, e anche i cinesi hanno dovuto sostituire a un Mao Tse Tung un Mao Zedong.
Marzo 29th, 2009 at 20:16
e poi in realtà Twitter spinge all’esercizio della sintesi…un obiettivo tipicamente scolastico, ma anche una qualità potenzialmente poetica, come fa notare il blogger Michael Lopp nel post The Art of the tweet (http://www.randsinrepose.com/)
Marzo 29th, 2009 at 20:41
Twitter è utile e intelligente, e può davvero essere uno strumento efficace per imparare a scrivere in un italiano semplice e preciso.
Marzo 30th, 2009 at 08:46
un giorno sì, e l’altro pure, mi trovo a parlare con persone che chiedono regole più rigide, o chiusure di siti, perché non vogliono che i loro figli possano accedere liberamente a siti pedofili ot similia.
allora racconto loro di mia nonna, e di come io abbia imparato a non entrare nelle aiule dei giardinetti (“ci sono le siringhe!”) grazie alla sua azione *educativa*.
oggi twitter e wikipedia a scuola fanno un pò la parte di mia nonna. ti insegnano come camminare nell’ambiente nuovo, e magari cosa evitare.tutto questo, sono d’accordo, non suona esattamente “new” (mia nonna se ne avrebbe molto) ma forse può essere più intrigante (ed efficace) di tanti divieti stupidi.
Marzo 30th, 2009 at 11:09
Ho fatto le elementari nella prima metà degli anni ’80. Avevo, ed ho tuttora, una pessima calligrafia. Alla preoccupazione di mia madre la maestra rispondeva tranquilla che quando sarei stato adulto io non avrei quasi più scritto a mano, ma col computer.
Visionaria, ma aveva ragione :)
(ribadisco: ho fatto le elementari dal’80 all’85)
Marzo 30th, 2009 at 16:07
“che lo faccia male, che vada per tentativi”???
Da quando la natura fa le cose programmate? L’evoluzione a meno di ricorrere a fantasiosi disegnini intelligenti, procede sempre per tentativi ed è per questo che migliaia di specie vengono annientate.
I crolli finanziari dimostrano che i disegnini matematici non prevedono un bel nulla e che sono solo modellini esili e fragili. Nel mondo ci sono troppi cigni neri per fermarsi a pensare e cercare di capire che c’è all’orizzonte.
Hai presente la caverna? Ecco noi finché gestiamo equazioni lineari un pochino ce la facciamo, ma appena le variabili diventano troppe è meglio chiamare il mago zurlì tanto l’affidabilità delle previsioni è la stessa.
Quindi si proceda per tentativi.
Marzo 30th, 2009 at 16:20
Argomento interessante, però forse andrebbe fatto presente che la ‘notizia originale sui social media nei possibili futuri programmi scolastici inglesi è stata un po’ gonfiata: Children to leave primary school familiar with blogging, podcasts, Wikipedia and Twitter as sources of information and forms of communication (non necessariamente saranno materie di studio). Chi ha familiarità con il sistema scolastico inglese saprà che i problemi sono innumerevoli (ad es. non pochi terminano la scuola dell’obbligo praticamente analfabeti) e l’introduzione del social media sembra l’ennesimo tentativo di rendere la scuola più attraente con argomenti di studio più moderni piuttosto che un vero esempio di innovazione. Una banale ovvietà: preferibile studiare materie tradizionali con metodologie innovative che insegnano a pensare e sperimentare, che materie innovative con sistemi tradizionali.
Marzo 31st, 2009 at 16:29
http://lasogliola.wordpress.com/2009/03/30/diamo-i-numeri-atto-secondo/
Aprile 1st, 2009 at 20:11
A proposito di corsi e ricorsi:-)
Sao ke kelle terre per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.
Anno 960dc
Considerato il primo documento scritto in Italiano.
Aprile 1st, 2009 at 20:12
dimenticato di chiudere il corsivo. chiedo scusa