Contrappunti su Punto Informatico di domani.
La parola più ascoltata giovedì scorso alla presentazione di Working Capital , il progetto di finanziamento di start-up 2.0 di Telecom Italia era “in natura”. Tu hai una idea e Telecom attraverso Working Capital te la finanzia “in natura”. Messa così non suona benissimo e se poi si decide di andare al di là della boutade e si dà una occhiata al prospetto informativo si capisce che effettivamente la maggiore telco italiana investirà 5 milioni di euro nei prossimi due anni (secondo le stime di Stefano Quintarelli lo 0,01% del proprio fatturato) senza mettere sul tavolo nemmeno un euro ma attraverso la fornitura di – leggo dalla brochure informativa – “competenze e beni in natura”.
Ovviamente le competenze e i beni in natura (qualsiasi essi siano) costano e vanno messi in conto nel momento in cui si immagina di investire tempo e denaro su un progetto qualsiasi ma, così strutturato, il ruolo che Telecom si è ricavata in un progetto del genere sembra essere quello di aggiungere un mediatore nella catena del valore. Se il Venture Capital è strutturalmente una impresa di rischio, gente che mette denaro in un progetto che nella maggioranza dei casi non consentirà alcun futuro ritorno economico, Working Capital è invece qualcosa di differente: una specie di zio buono che ci consente di utilizzare la sua auto per andare al lavoro e che ci allunga buoni consigli su quali soggetti potrebbero essere interessati ad investire nella nostra idea di business.
Ho visto Franco Bernabè dal vivo due volte negli ultimi mesi. Giovedì scorso a Milano e qualche mese fa a Riva del Garda in occasione di un incontro organizzato da Telecom con alcuni blogger italiani. Bernabè, oltre che essere una persona pacata e piacevole, ha un grande pregio: mette la faccia nelle iniziative della azienda che dirige. Il fatto stesso che fosse a Milano a discutere di queste cose e a supportare questa, tutto sommato piccola, iniziativa di Telecom è secondo me un segnale positivo di attenzione verso il riposizionamento di una azienda che è stata da tutti per anni percepita come monolitica e vecchia, in una compagnia con qualche legame tangibile con la realtà del mondo che cambia.
E infatti molto di Working Capital ha il profumo del marketing. Da questo punto di vista Telecom si sta muovendo molto bene nei territori di confine fra impresa ed innovazione e lo fa partendo dai più piccoli particolari. Per esempio il logo di Working Capital è stato creato utilizzando il “lettering” multicolore di Google (che nell’occasione ne ha concesso l’utilizzo) e Google stessa è raccontata da Telecom come un esempio, un punto di riferimento significativo della nuova idea di “fare impresa”. La leggenda di Google è insomma utile a Telecom per avvicinare se stessa ad una idea di soggetto che partecipa attivamente all’innovazione, al processo complicato di immaginare nuove aziende che domani cambieranno il mondo.
Per molti anni abbiamo ascoltato in questo paese i lamenti sulla assenza di capitalisti di ventura disposti ad investire su nuovi progetti innovativi e mentre alla tavola rotonda di giovedì Paolo Barberis, presidente di Dada, ammoniva sulla necessità di essere concreti, evitando di incamminarsi sulla strada del finanziare il nulla in forma di business plan, mi veniva in mente che spesso oltreoceano fino ad un anno fa ci si trovava esattamente in quella esatta situazione. Troppi soldi disponibili da società di Venture Capital pronte a finanziare qualsiasi idea capitasse sott’occhio nella speranza di incocciare per sbaglio nel prossimo Facebook o Flickr o Google. In particolare la bolla 2.0 è forse esplosa in USA nel corso del 2008 quando è apparso improvvisamente evidente che web 2.0 e business erano entità con molti meno punti di contatto di quanto fosse lecito attendersi e che di galline dalle uova d’oro, nell’aia mille volte mitizzata della Silicon Valley, ne razzolavano pochine.
Così oggi, in tempi di brutale crisi economica, il mito degli investitori californiani si è decisamente attenuato e se alcuni progetti italiani come Baia Network propongono a chi ha buone idee in Italia uno strumento per collegarsi con investitori oltreoceano, non deve stupire che Telecom guardi con estrema circospezione all’ipotesi di mettere del proprio per finanziare concretamente imprese innovative del paese. Detto questo, ed incassati i benefici in termini di immagine, forse un po’ meno natura e un po’ più euro non avrebbero guastato.
Marzo 8th, 2009 at 11:17
In realtà io ho apprezzato esattamente questo, proprio per il rischio di finanziare persone più in cerca di soldi che di voglia di fare.
Mi spiego meglio: se sei un imprenditore con un’idea in cui credi molto, ma te la senti di lavorarci solo se hai un buon stipendio dal primo minuto, un ufficio in centro e la receptionist, forse non sei un imprenditore. Se hai 18 anni e una buona idea e Telecom ti dà l’infrastruttura, assistenza legale e fiscale e consigli, quella buona idea la fai partire dalla scrivania di casa tua, il resto sono capricci, non imprenditoria.
Marzo 8th, 2009 at 11:28
Una fornitura in natura sarebbe già una svolta perchè vuol dire che una grande azienda italiana si apre all’esterno, cosa che pochissime hanno fatto, e che abbandona la logica paranoica NIH (Not Invented Here), cioè fa schifo perchè non è stato un parto della struttura.
Inoltre è una strategia intelligente: si mette a disposizione parte della (sovra)capacità per generare nuovo business.
Il punto da ponderare, spesso negletto dagli inventori, è però un altro: le idee possono essere bellissime e fichissime ma occorle pomparle>, cioè fare marketing, pubblicità, comunicazione e, in alcuni casi, venderle direttamente, (quando si tratta di applicazioni B2B), cose molto, ma veramente molto costose.
Nel concetto di fornitura in natura è prevista anche la messa in campo dell’enorme forza comunicativa e commerciale di Telecom Italia?
Marzo 8th, 2009 at 12:54
@mafe: esistono le spese correnti e gli investimenti. Nessun dice che TI debba finanziare lo stipendio del guru di turno o della sua segretaria; ma se in tempi di stretta creditizia non ci mette -sul serio, in contanti- perlomeno quei risicati cinque milioni a finanziare gli investimenti (banalmente: server, router; ma anche PC; stampante; carta), a che serve tutto ciò?
Marzo 8th, 2009 at 13:49
>La leggenda di Google è insomma utile a Telecom per avvicinare se stessa ad una idea di soggetto che partecipa attivamente all’innovazione, al processo complicato di immaginare nuove aziende che domani cambieranno il mondo.
in effetti “leggenda” mi pare la parola giusta. La storia vera di Google, viceversa, parla di un signore (di cui non ricordo il nome) che era un pezzo relativamente grosso di Sun che va a fare un’ora di chiacchiere con Larry e Sergey, li trova svegli, simpatici e determinati, apprezza la beta del loro progetto, chiede quanti soldi vogliono per la piccola percentuale che gli interessava, dice loro: “no, ragazzi, non fatevi fregare, meritate di più”, firma loro un assegno da 100.000 $ e raccomanda loro di tenerlo aggiornato e soprattutto di chiamarlo se hanno bisogno di qualcosa.
Riassumo: una persona fisica che firma sulla fiducia un assegno da 100.000 $ intestato a una “Google Inc.” che neppure esisteva ai tempi – hanno dovuto costituire la società con quel nome prima di incassare – per una piccola percentuale di una bozza di progetto potenzialmente interessante. Qui, invece, la più grande azienda del Paese che ha licenziato un sacco di persone e ha un sacco di scrivanie vuote e te le lascia usare se concedi loro probabilmente anche la tua anima. E poi se e quando hai bisogno di un consiglio, che fai, parli di “web2.0” con Bernabé?
Marzo 8th, 2009 at 14:02
That’s all marketing.
Niente di più, secondo me.
Marzo 8th, 2009 at 15:10
Da quanto ho capito dalla sintesi fatta dal Sole24Ore le cose sono anche molto concrete.
Io l’ho capita e sintetizzata (http://www.techblogs.it/punto_biz/2009/03/lit-e-mestiere-per-donne.html) così:
Working capital TI finanzierà una trentina di “nuove iniziative imprenditoriali nell’ambito web 2.0 e Internet”. L’advisor dPixel, guidato da Gianluca Dettori e Franco Gonella, (geniali inventori di Vitaminic, antesignano dei siti ecommerce di musica), aiuterà a formulare il business plan e a selezionare le idee col maggior potenziale. Alcune di queste riceveranno da 150 a 750mila euro in conto capitale per uffici e servizi, altre avranno un contratto di incubazione (tra 30 e 150mila euro).
Se alla presentazione con Bernabé non sono emerse questi fatti concreti… mi preoccupo.
Marzo 8th, 2009 at 15:28
Massimo, il punto di come (in Italia al 100%) si fanno gli investimenti, l’hai centrato scrivendo questo:
> incocciare per sbaglio nel prossimo Facebook o Flickr o Google. <
Stavolta è un investimento al 50% in mkt (e adv) e al 50% in sconto merce : geniale !
E’ ovvio che in momenti come questo, per chi ha uno straccio d’idea è meglio avere due pc e un server gratis, più un annetto o due di linea gratuita, che il niente dello Stato.
E ho anche l’impressione che il citare Google direttamente e con il logo, come esempio di successo, (ma va, se ne sono accorti ?) serva per “riposizionare” furbescanente nella mente di molti, Telecom Italia come un attore di pari o superiore importanza esistente da prima di Google.
Marzo 8th, 2009 at 15:48
Massimo,
in un Paese dove le iniziative di venture capital sono praticamente inesistenti ci dobbiamo pure sorbire la storiella della più grande azienda tecnologica che “investe” ben 5 milioni di Euro, o meglio l’equivalente sotto forma di router, server, banda, …
Ma l’incidenza di questa tipologia “merci” gentilmente offerta da Telecom in cambio di quote della startup è oggi assoutamente irrilevante rispetto alle spese in capitale umano (leggi: stipendi e formazione).
Quindi cosa utilizzerà il giovane imprenditore per pagare le brillanti menti (sviluppatori, designer, …) che credendo nella sua idea si uniranno a lui? Con i cordless Fido rimasti nel magazzino Telecom dal ’97? In fondo quel progetto che morì prima di nascere costò occhio e croce circa 500 milioni di Euro … altro che 5 milioni per le startup nostrane.
Mi meraviglio, ma forse sono ingenuo, che gente sveglia come Dettori, che certamente sa come funziona il mondo del venture capital, ci metta la sua faccia in questa iniziativa, agendo come advisor e selezionatore di startup.
Scusate lo sfogo, certamente viziato dal non aver trovato investitori per la mia startup.
Marco Barulli
Marzo 8th, 2009 at 18:19
@Roberto: francamente, non capisco l’esigenza di cui parli tu di
>fare marketing, pubblicità, comunicazione
se crei Flickr (per primo) non ne hai bisogno. Se copi Flickr per Telecom, lo metti su Virgilio e sei a posto.
Marzo 8th, 2009 at 18:45
Visione identica alla mia… molto marketing poca sostanza, molto working… e poco capital! Ieri notte ho buttato giù due righe, credo che l’idea sia la stessa…
http://www.maxkava.com/2009/03/telecom-working-capital-ma-manca-il.html
Marzo 8th, 2009 at 23:14
Mante, non usare la parola “lettering” in modo errato:
http://www.google.it/search?q=define%3Alettering
hanno usato il carattere (o il font se preferisci) di Google, non il lettering.
Marzo 8th, 2009 at 23:16
Ups, vedo che secondo il demauro in realtà l’uso che ne hai fatto calza:
http://old.demauroparavia.it/63245
io l’ho sempre sentito utilizzato in ambito fumettistico.
Marzo 9th, 2009 at 10:15
Ho letto il progetto, Telecom fornisce le competenze tecniche, mentre il partner investitore “dPixel” dovrebbe trovare il “working capital”.
Marzo 9th, 2009 at 13:40
@Stefano:è una buona cosa che *qualcuno* abbia letto il progetto, prima di commentare, in effetti (io no:D). Dove trovo le info?
E… cosa fornisce telecom? Competenze tecniche de che? dai, siamo seri, sarà mica l’housing l’ostacolo, al giorno d’oggi…
Marzo 10th, 2009 at 08:28
Premesso che non ho letto il prospetto, da quanto capisco
Telecom:
– accede alle brillanti idee di giovani virgulti
– fornisce materiale che ha in eccesso a gratis
– ottiene in cambio quote di società
– si lava la bocca con web 2.0
– nella peggiore delle ipotesi ha buttato via 5 milioni (che in una sociè tà così sono spiccioli visto come sono _male_ organizzati)
– nella migliore delle ipotesi si trova delle quote di società che gli imprenditori per riprendersi dovranno pagare care.
good job
Marzo 10th, 2009 at 09:45
se sono buone soceità, gli imprenditori non potranno MAI riprendersele.
peraltro, se ricevono i consigli di telecom, non diventaranno MAI buone società.
Marzo 10th, 2009 at 11:05
però secondo me di sicuro diventi bravo in “office politics” e powerpoint ;-)
Marzo 12th, 2009 at 22:17
[…] La prima cosa che mi viene da dire è che si tratta di soldi veri in un momento particolarmente delicato per chi decide di rischiare capitale. Soldi veri, non “beni in natura“. […]